Euro, 20 anni e sentirli tutti

1 Febbraio 2022
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di Ilenia di Summa

I compleanni rappresentano una buona occasione per effettuare dei bilanci e la moneta unica non si sottrae a tale consuetudine: come sono stati questi 20 anni (2002-2022) per gli Stati che hanno adottato l’euro e qual è il rapporto dei cittadini europei, e in particolar modo, quello degli italiani con la moneta unica?

Per provare a dare una risposta a queste domande, è utile partire da lontano, dal marzo 1957, quando a Roma, al Palazzo dei Conservatori, venne firmato il primo Trattato che si poneva l’obiettivo di “Porre le basi per una più stretta unione tra i popoli europei”. A tutti gli effetti, un antesignano dell’Unione Europea. Passano alcuni decenni prima che l’Europa sperimenti, quale forma di unione, la controversa adozione della moneta unica. Nei mesi precedenti il passaggio dalle monete nazionali all’euro, la Banca Centrale Europea stampò 15 miliardi di banconote e coniò 52 miliardi di monete.

A distanza di 20 anni da quello storico evento, è ancora viva la contrapposizione fra accesi sostenitori della moneta unica ed euroscettici, convinti che l’euro limiti, di fatto, la sovranità dei popoli e la loro capacità di autodeterminazione. Le posizioni dei singoli Stati sono differenti, a seconda dei benefici o, al contrario, dagli svantaggi, derivati dall’introduzione dell’euro.

Secondo la multinazionale Bloomberg Economics, operativa nel settore dei mass media, in cima alla classifica delle Nazioni capaci di trarre vantaggio dall’euro si colloca la Germania, seguita da Austria e Finlandia: questi Stati hanno incrementato la propria competitività. Al contrario, fra le Nazioni che non hanno conseguito il medesimo risultato, troviamo l’Italia, la Spagna e la Francia.

Ciò è dipeso da diversi fattori “In particolare per l’ambizione politica che c’era dietro la nascita della moneta unica”- spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano- “Il progetto unitario europeo nacque con l’idea che la politica si sarebbe trascinata dietro l’economia. Ciò non è avvenuto e ha in un certo senso obbligato a seguire il percorso inverso, cioè fare in modo che l’economia trainasse la politica, con una parola d’ordine: la convergenza. Oggi ci troviamo di fronte alla necessità- continua- di far sì che si operi in modo che vi sia una crescita sostenibile nella convergenza, chi è più indietro deve esser messo nelle condizioni di andare più veloce per raggiungere l’obiettivo di un tenore di vita sostanzialmente omogeneo in tutta l’Eurozona”.

Entrando nel merito, in Italia l’introduzione dell’euro ha, comunque, portato un effetto positivo: il calo della disoccupazione, sceso da livelli superiori all’11% fino a un minimo del 5,8%, toccato nel 2007. Un altro punto a favore è il calo dei tassi di interesse, che prima viaggiavano a due cifre. L’ingresso nell’euro ha, inoltre, determinato una forte flessione dell’inflazione, soggetta comunque ad impennate più marcate rispetto ad altri Paesi.
Purtroppo, il rovescio della medaglia presenta diverse note dolenti: la produttività, il costo del lavoro, e pertanto, la competitività, condizionano pesantemente la crescita economica nel nostro Paese, al pari dell’enorme debito pubblico.

La produttività stagnante è un problema che trascina con sé salari sostanzialmente bloccati. Secondo una ricerca compiuta dall’Università di Groningen sulla produttività multifattoriale, dopo la crescita del “miracolo economico”, l’Italia ha fatto segnare un lungo periodo di stasi, seguito da un’autentica decelerazione in concomitanza all’introduzione dell’euro. Fra le cause del fenomeno, si individua la scarsa capacità di far viaggiare all’unisono innovazione tecnologica e competenze dei lavoratori. Alcune analisi, fra cui quelle di Gita Gopinath, oggi capoeconomista del Fondo monetario internazionale, mettono in relazione la scarsa produttività con il costo del credito troppo basso: pertanto, nel nostro Paese, come in altre economie del Sud Europa, questo fattore ha mantenuto in vita aziende inefficienti che sarebbero altrimenti fallite.

Come spesso accade per i bilanci, anche questo relativo ai 20 anni di euro, risulta in chiaroscuro: molto è stato fatto, ma molto di più resta da fare. A tale proposito, lo stesso Mario Draghi ha affermato: “L’Unione Europea ha avuto successo in molti campi, ma non è riuscita a dare i benefici auspicati in tutti i Paesi”.

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