“Pagherò lo Stato senza aver incassato nulla”

15 Aprile 2020
Emma Barbaro, Giornalista

La testimonianza di un giovane ingegnere civile

di Emma Barbaro

Carmine Pasquale ha 34 anni ed è un ingegnere civile. Prima della quarantena svolgeva la sua attività di libero professionista collaborando con alcuni colleghi tra la città di Avellino e la sua provincia, dove vive.

Che vita conducevi prima della quarantena?

Era una vita movimentata e con qualche pensiero, ma riuscivo ad incastrare la mia attività professionale con gli interessi e con le varie attività sociali che svolgevo. Ovviamente, sperando di non dire stupidaggini – e per esserne sicuro dovrei chiedere alla mia compagna – cercavo di mettere sempre al primo posto la vita privata.

Dal punto di vista professionale, quel che facevo mi piaceva. Mi piaceva creare la rete, innescare lo stimolo a migliorarsi e abbracciare nuove sfide, sia dal punto di vista imprenditoriale che da quello più strettamente scientifico. Mi piace ancora, perché continuo a fare tutto quel che posso da casa. Anche se i ritmi sono decisamente più lenti.

E anche la mia attività nel sociale mi piaceva. Mi è sempre piaciuto organizzare o inventare qualcosa che potesse essere utile ed avere un riscontro oggettivo nel territorio in cui vivo e lavoro.

Come e dove stai vivendo la quarantena? Che impatto ha sulla tua vita professionale, pubblica e privata? Come ti sei organizzato? Cosa ci stai rimettendo? Come si è modificata la tua vita?

Sono a casa con i miei genitori. E il lavoro si è di molto ridotto. Tutti gli appuntamenti sono saltati ma, trattandosi di un blocco totale, da questo punto di vista il danno è relativo. Sicuramente, avendo più tempo per lavorare al computer, ho potuto svolgere le mie attività da casa portando ad esaurimento le commesse che potevo completare. Per il resto, pianifico qualche attività di marketing e pubblicità sui social e, in questa fase di incertezza – pre virus e sicuramente post virus – penso a portare avanti progetti alternativi alla professione che svolgo. Per quanto mi riguarda non sto perdendo tanto. Trascurando il fatto che ho pagato software che non sto usando, ciò che sto perdendo è di poco conto. Il problema veramente grosso è la traslazione dei pagamenti e lo slittamento di tutti i lavori in programma. Nei prossimi mesi mi ritroverò a pagare delle somme allo Stato senza aver incassato nulla e, per quanto lo Stato abbia provveduto a sospendere alcune tasse, entro fine anno – se tutto dovesse finire entro maggio – mi ritroverò a dover sostenere spese senza aver guadagnato. E non so se me lo potrò permettere. Questo innescherà un circuito a catena perché, allo stato attuale e con le misure varate ad oggi dal Governo, accumulerò morosità e, quindi, non sarò in regola con i miei pagamenti. La conseguenza più immediata? Non potrò più partecipare a gare pubbliche fino a che non mi rimetterò in regola. In una zona d’Italia dove la spesa dei privati nel mio settore è ormai pari a zero, forse dovrò chiudere la partita Iva. E non voglio neanche pensare a quelli che non vorranno più portare avanti i lavori per i quali avevo preso accordi.

La realtà è che ci sto rimettendo la salute. Se le cose non dovessero cambiare, mi appellerò al solo welfare che mi sta sostenendo da sempre: i miei genitori. Ma mi preoccupo per quelli che questo “welfare” non ce l’hanno. Colleghi, amici, conoscenti, compaesani. Il mio futuro professionale è legato a doppio filo alla sopravvivenza della mia rete lavorativa e sociale. Evidentemente la questione non è tanto il “se ne usciremo vivi” quanto il “in quanto tempo riusciremo a guadagnare qualcosa prima che scadano i futuri impegni con lo Stato o con i vari altri enti a cui, inspiegabilmente, dobbiamo parte del nostro lavoro.”

Ad oggi, né la mia Cassa professionale, né i provvedimenti dello Stato mi fanno ben sperare.

La mia vita è cambiata totalmente. È cambiata nei pensieri e nelle voglie che prima soddisfacevo e ora no. È cambiata perché ci riuniamo durante i pasti con la mia famiglia. È cambiata con la lontananza e con la speranza. Ma soprattutto è cambiata nelle preoccupazioni e nei progetti per il futuro.

Tralasciando le paure legate ai rischi di contagio che ci fanno stare in allarme e in continua apprensione per amici e familiari, tralasciando l’aspetto della vita lavorativa, dal 4 marzo scorso qualche nota positiva c’è. Adoro il fatto che il tasso d’inquinamento si sia abbassato. Mi piace pensare al respiro della natura e ad una dimensione più lenta della vita. Mi piace pensare che i padri hanno più tempo per giocare con i figli.

Ma forse, a meno di due settimane dall’inizio di questa quarantena, non siamo fino in fondo consapevoli dei suoi effetti. Chissà domani come la vedremo. E come la vivremo.

Cosa stai pensando di fare? Stai già facendo? Stai già progettando qualcosa? Cosa? Modificherai il tuo modo di lavorare, di vivere, di guardare al mondo? Cosa cambierà, secondo te, nel tuo mondo professionale?

Credo che tutti stiamo evolvendo personalmente. Vorrei rallentare per godermi un po’ la semplicità trascurata in questi anni tribolati e, personalmente, vorrei migliorare il mio modo di vivere la vita prima del Covid19. Sono sempre più convinto di voler vivere sorridendo piuttosto che arrabbiandomi, di voler sorvolare sulle questioni futili per dare molta più attenzione alle persone. Voglio “abbassare lo sguardo” per riscoprire quel che ho intorno, più di quanto facessi prima. Vorrei rendere il mio piccolo mondo un posto migliore. Credo che in qualche modo il virus ci abbia portati a una sorta di “anno zero” da cui si può solo ripartire. Forse, ci ha persino regalato un po’ di consapevolezza. Oggi, ho più speranza.

Non so cosa cambierà nel mio mondo professionale perché, al momento, c’è gran fermento. La nostra categoria – partite Iva non appartenenti all’Inps – è stata totalmente dimenticata dal decreto “Cura Italia” con tutte le conseguenze che questo comporta. Pur contribuendo in maniera massiccia allo sviluppo del Paese, noi partite Iva siamo gli ultimi. I dimenticati. Ingegneri, architetti, geologi, avvocati, giornalisti, agrari, geometri – e chi più ne ha più ne metta – sono soggetti mal tutelati e vessati. Noi ingegneri, tra gli altri, non abbiamo ricevuto neppure il sostegno della nostra cassa previdenziale.

Leggo, specie sui social, che i miei colleghi si sono arrabbiati e hanno iniziato pretendere quel che ci spetta. Se non vincerà il tipico lasciar fare all’italiana, forse questa esperienza di insegnerà a far valere i nostri diritti. Pretendendo i minimi tariffari e denunciando stranezze e sotterfugi che si celano nel comparto dei lavori pubblici. Magari è la volta buona.

Cosa cambierà, più in generale, in Italia e nel mondo?

Non so cosa cambierà nel mondo. Il mondo è governato da troppi interessi che si intrecciano e che vanno al di sopra e al di là della salute delle persone. Tutte cose che un semplice ingegnere, come me, non può capire. Sicuramente posso dire cosa vorrei succedesse.

Vorrei che ci rendessimo conto che la specie meno utile sulla terra, l’uomo, causa il 99 per cento dei danni che poi inevitabilmente subisce. Mi piacerebbe che maestri, professori e docenti si rimpossessassero del ruolo che ricoprono e che comprendessero che stanno forgiando le generazioni del domani. Vorrei che i politici capissero che il loro modo becero di fare è inutile. Vorrei che la cultura si rimpossessasse dei mezzi per aggiustare le cose. Vorrei essere sicuro di essere curato, come tutti, in un ospedale pubblico eccellente e non in una struttura considerata al più come un bacino di voti e spreco di danaro.

Credo che, domani, saremo meno individualisti. Se questa esperienza ci ha insegnato qualcosa è che se vogliamo che le cose funzionino dobbiamo fare tutti la nostra parte, anche nel sociale. Se rinasce la voglia e la forza di cambiare le cose, forse possiamo svoltare. Forse, ce la possiamo fare.

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