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Rosanna Putzolu (Caritas Taranto). Il volontariato ai tempi del Coronavirus

25 Mar 2020 - Voci dalla Quarantena

Rosanna Putzolu (Caritas Taranto). Il volontariato ai tempi del Coronavirus

di Silvano Trevisani

Taranto – Rosanna Putzolu, da sempre volontaria della Caritas, è la coordinatrice del Centro di accoglienza notturno San Cataldo vescovo, voluto dall’arcivescovo Santoro per dare un tetto ai tanti poveri e barboni che vagano per la città, e allocato in uno dei palazzi patrizi più antichi di Taranto, Palazzo Santacroce, che sorge accanto al Museo diocesano in Città vecchia. Inoltre, in tempi normali, di occupa anche del Centro di ascolto della Caritas.

Chi sei e cosa facevi prima del coronavirus?

Sono una pensionata che impiega il proprio tempo in attività di solidarietà, soprattutto per una mia scelta di fede.

Ti piaceva quello che facevi e che fai?

Moltissimo.

Come stai vivendo l’isolamento?

Non troppo bene anche se, in realtà, lo vivo “a mezzo servizio”, nel senso che la mia giornata è divisa nettamente in due: la mattina continuo a svolgere la mia attività di volontaria della Caritas al Centro notturno, mentre il pomeriggio resto chiusa in casa. Ecco. Questa seconda parte è sicuramente spiacevole, perché mi priva della libertà e limita le mie attività. Un po’ come tutti.

Eppure, una mezza giornata la passi al Centro. Non hai paura del contagio?

Se ti dicessi di non aver paura mentirei. Ho paura, come gli altri operatori che vengono a dare una mano al Centro, ma non potevamo abbandonare i nostri senza tetto al loro destino. Poiché il nostro è un centro notturno che, quindi, di giorno doveva essere lasciato dagli ospiti, abbiamo offerto loro la possibilità di rimanere tutto il giorno, pur di essere protetti. Quasi tutti hanno accettato e, di conseguenza, li assistiamo “a tempo pieno”.

La tua vita, comunque, si è sostanzialmente modificata. Come ti sei organizzata?

Beh! Tutte le mattine mi preparo e vengo al Centro in auto, quindi, non ho contatto con l’esterno, ma un po’ di timore c’è sempre. Come riflesso condizionato, prima di uscire misuro sempre la febbre. Poi al ritorno, trascorro il mio tempo… aspettando. Come tutti.

Pensi che passerà presto? Cosa progetti di fare “dopo”?

Sì, io penso che presto, e con l’aiuto del Signore, sarà tutto passato e finalmente potrò tornare pienamente alla mia attività e che anche i nostri ospiti saranno finalmente liberi di uscire.

Loro come la stanno vivendo?

Anche loro con la speranza che l’epidemia si spenga presto. Sono contenta del fatto che loro stanno provando, così come noi lo proviamo, il significato pieno della solidarietà e dell’incontro. Hanno disegnato un grande cuore fatto con i loro cuori che hanno i colori dei paesi da cui provengono.

Cosa cambierà per te e più in generale, in Italia e nel mondo? Pensi che anche i segni d’intolleranza che sono manifestati, ad esempio, nei confronti dei migranti, saranno modificati?

Credo che, quando sarà tutto finito, si apprezzerà di più la vita e tutto quello che ci ha dato. È un momento di grande riflessione sul senso della vita e sull’affetto delle persone che ci stanno accanto o magari che vorremmo accanto ma sono anche loro isolate. Credo che tutto questo ci insegnerà, ognuno a suo modo, a essere più disponibili, meno prevenuti. Per quanto mi riguarda, mi mancano anche i gesti. Voglio dire: il contatto fisico con i poveri, nel rapporto con i quali la distanza assume un significato molto più grave. Non vedo l’ora di poterli riabbracciare, perché io, tutti noi operatori, e loro… tutti ci accorgiamo, in questi giorni, di quanto possa valere un abbraccio e di quanto ci manchi.

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