75 anni di Liberazione. Nel silenzio delle piazze

20 Aprile 2020
Martino foto manifestazione

di Pasquale Martino

Una Festa della Liberazione per la prima volta senza manifestazioni, senza vecchi partigiani col fazzoletto al collo, senza bandiere. Nel deserto muto delle piazze. Ma non nel vuoto, non senza partecipazione, pur nell’impensabile affanno della quarantena. I social sono già mobilitati e in fermento, pubblicano documenti, fotografie, interventi per preparare al meglio questo settantacinquesimo anniversario del 25 aprile, in condizioni così difficili. L’Anpi invita a cantare e suonare Bella ciao dai balconi, in tutta Italia. E una spoglia cerimonia dei sindaci davanti a qualche epigrafe e a una telecamera – forse con una tromba che intoni il silenzio fuori ordinanza più toccante che mai si sia udito – ci sarà, ne siamo certi, in molte città e anche a Bari e in Puglia. Ma questa è una occasione per riflettere a fondo, per dialogare con tutti i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione. Per tornare a comprendere le origini della nostra democrazia, per vederne il presente e immaginarne il futuro.

     La RAI trasmetterà a puntate le testimonianze dei partigiani e delle partigiane viventi a cura di Gad Lerner e Laura Gnocchi (in 420 hanno partecipato alle interviste: non pochi!), e in questi giorni esce un libro Feltrinelli che riunisce una parte di quei racconti. La storia della Resistenza è ancora un imponente volume aperto con un gran numero di pagine non scritte. Soprattutto, raccogliere le biografie di uomini e donne che hanno preso parte alla lotta di Liberazione è un compito che tuttora abbiamo assolto assai parzialmente; un compito che dovrebbe coinvolgere con particolare passione i giovani alla ricerca delle loro radici, delle vicende vissute dai loro nonni in un momento fondativo di quella libertà nella quale, nonostante tutto, ancora viviamo e agiamo.

     E poi c’è il filo conduttore dell’antifascismo che ha accompagnato la storia della repubblica: la lotta per difendere e ampliare gli spazi democratici, combattuta dai «nuovi partigiani» insieme con i «vecchi», nel 1960, nel ‘68 degli operai e studenti che si battono per i loro diritti, negli anni ’70 al tempo delle stragi neofasciste e del terrorismo; negli anni ’80-90, per la pace e contro la guerra, a sostegno dei popoli oppressi. E nel nuovo secolo, fino ad oggi, quando il risorto razzismo, la xenofobia, l’intolleranza verso ogni diversità minacciano le idee e le pratiche solidali e perfino il sentimento di umanità. Quando i diritti del lavoro, la sanità, la scuola pubblica sono rimessi in discussione in nome di presunti vincoli che dimenticano il grave monito della Costituzione: «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale», tutto ciò che vanifica la libertà e l’uguaglianza vere. Non è detto che la fine dell’emergenza sanitaria coinciderà con un rifioritura dei diritti e della democrazia, se non saremo vigili, cittadini e cittadine coscienti, anche durante questa fase non breve di pesanti restrizioni alla vita pubblica.      C’è una Europa spazzata dai venti dell’oltranzismo nazionalista e – soprattutto a Est – da un nuovo autoritarismo di governo verso cui le forze democratiche europee si mostrano colpevolmente arrendevoli, essendo per lo più intente ad amministrare avari bilanci. Radici Future sta per pubblicare il libro annunciato sulla memoria europea della Seconda guerra mondiale, rimasto sospeso a causa del virus. C’è bisogno dell’antifascismo europeo, che ricordi perché e come è nata una aspirazione all’unità politica e culturale del continente devastato dalla guerra, senza le discriminazioni di classe, di religione e di cultura che il nazifascismo aveva tragicamente imposto. Un continente in cui molti oggi a gran voce invocano la riapertura di città, fabbriche, mercati perché «il contagio sta finendo», ma il lavoro resta a rischio e i porti restano ostinatamente chiusi ai derelitti che domandano aiuto.

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