Carmelo Rollo, vice presidente Legacoop nazionale (con delega al Mezzogiorno)
Carmelo Rollo, Legacoop: “Industria 4.0 non ha anima, preferisco un Mezzogiorno che coopera”
Nicole Cascione | 3 April 2017

Il vicepresidente di Legacoop Carmelo Rollo passa al setaccio il programma del governo per la trasformazione competitiva digitale: “Che fine farà chi non sarà coinvolto in questo processo?”. Il futuro? Rimette in gioco le parole “Mezzogiorno” e “agricoltura”

 

Il governo ha promosso il programma “industria 4.0”, per aumentare il livello delle tecnologie nelle aziende. le cooperative in quest’ottica come si pongono?

Si tratta di un documento davvero molto interessante per le industrie, per le piccole medie imprese, per la crescita dell’Italia. Ho iniziato però a domandarmi quanto effettivamente possa valere questo documento per le persone e, considerato che le cooperative sono delle imprese fatte di persone, ho utilizzato uno strumento di Google, che permette di individuare all’interno di qualsiasi documento la presenza o meno di determinate parole. Ho deciso di inserire in questo “gioco” il documento del governo e ho cercato la parola “persona”, una parola che compare zero volte, così come la parola “sociale”, “cooperare”, una sola volta invece è utilizzata la parola “collaborare”, per parlare di robot collaborativi. Non credo che questo possa essere lo strumento in grado di far crescere il Paese, perché è poco attento all’anima del Paese e alla crescita delle persone. Quindi ritengo che prima di metterlo in campo sia necessario verificare l’impatto sociale. Questo non significa che sono contro l’industrializzazione, ma sono per l’innovazione. Se decido di sostituire dieci persone con una macchina, dovrò anche preoccuparmi di capire quale sarà il futuro di quelle dieci persone. C’è quindi la necessità, da parte del governo, di operare una programmazione più attenta.

Quindi il mondo della cooperazione teme che questo strumento possa ledere gli interessi delle risorse umane presenti nel mondo del lavoro?

Dobbiamo partire dal presupposto che se vogliamo crescere in Italia, dobbiamo condividere il cambiamento con le persone. Noi abbiamo un dovere, quello di innovare certo, ma con l’anima. Di farlo, quindi, in un modo differente. Questo è un Paese che ha bisogno di dare risposte alle persone e non alle industrie. A mio modesto parere il programma “Industria 4.0” non si è posto questo problema. Si tratta certamente di uno strumento straordinario messo in campo dal governo, che offre una serie di importanti finanziamenti, ma non tiene conto di quelle persone che non saranno coinvolte in questo processo di sviluppo. E’ un po’ come quello che sta accadendo con i Fondi strutturali della Regione Puglia. Noi, come LegaCoop Puglia, stiamo chiedendo che, ad ogni bando di gara, si introduca anche la rendicontazione sociale oltre quella amministrativa. Perché vogliamo comprendere l’impatto sociale di ogni singolo bando.

A livello nazionale, tra le tante deleghe, lei ha anche quella all’innovazione e al mezzogiorno. due temi che a tratti sembrano quasi in antitesi

In verità sono le uniche due deleghe che metto insieme, perché credo fermamente che l’innovazione vada a braccetto con il Mezzogiorno d’Italia. Abbiamo presentato il masterplan della cooperazione del Mezzogiorno; si tratta di una risposta concreta ad una serie di bisogni che sono emersi, attraverso una serie di incontri, con le persone del territorio, che hanno una gran voglia di innovarsi, di confrontarsi, di imparare. Ma il problema resta il come farlo. L’innovazione sta nel rendere protagonisti le persone sul territorio per poter poi rispondere ai loro bisogni. Il Mezzogiorno ritengo sia una leva fondamentale per la crescita del Paese, ma è necessario rendere protagonisti le persone che vivono nelle regioni del Sud Italia. L’innovazione sta proprio qui. Purtroppo, nonostante la larga diffusione dei social, manca l’informazione e manca soprattutto la partecipazione. Il Mezzogiorno però ha un altro grande problema: resta ancorato al proprio “io”, senza cercare di sviluppare il “noi”. Il meridionalismo lo leggiamo attraverso questo egoismo, che è uno dei problemi peggiori che abbiamo. L’innovazione sta proprio nella capacità di trasformare l’”io” nel “noi”.

Quindi, l’approccio delle imprese del mezzogiorno all’innovazione, secondo lei, è positivo?

Assolutamente sì. Basti pensare a cosa è accaduto nel settore agricolo e nel settore della distribuzione agricola. Abbiamo ottimi riferimenti anche in altri settori, come quello della cultura, che potremmo quasi definire cartina tornasole di tutto quello che poi, in un Paese, si riesce a fare. Il sistema cultura regionale sta aiutando moltissimo altri settori, come quello agricolo e quello manifatturiero, spingendoli verso una maggiore internazionalizzazione. La verità è che dovremmo essere più celeri. Questo lungo immobilismo che ha caratterizzato il Mezzogiorno, anche a causa di strumenti finanziari che si sono bloccati o a causa della crisi, ha rallentato il processo. Ma le cose possono e devono cambiare. Ad esempio, in agricoltura non possiamo pensare di continuare ad avere questo frazionamento delle imprese, perché tutto questo ci rende poco competitivi sul mercato. Anche il caporalato avrebbe maggiori difficoltà nel processo di radicamento se non ci fosse questo eccessivo frazionamento. Per spingere all’aggregazione ci sono vari modi: la strada che percorriamo noi è quella del dialogo ed è la più lunga e la più difficile. Ma basterebbe uno strumento regionale a disposizione di coloro che decidono di aggregarsi, che non significa solo dare dei soldi, basterebbe anche solo dare un punteggio maggiore nel predisporre i progetti. Bisogna imparare a promuovere l’aggregazione e non solo limitarsi a parlarne. Stesso discorso si potrebbe fare sui terreni incolti, di cui la Puglia è ricchissima. Proprio alla luce di questo, abbiamo iniziato a parlare di lavoro in agricoltura in appalto. Non capisco perché questa proposta faccia saltare dalle sedie i colleghi del sindacato. Sarebbe uno strumento straordinario non solo per riqualificare zone abbandonate, ma anche per dare dignità ai migranti presenti sul territorio, con una contrattualistica dedicata.

Cambiamo argomento. da tempo si discute dell’alleanza delle cooperative italiane. a che punto si trova questo processo?

Si tratta di un obiettivo da raggiungere assolutamente. Avevamo una data: il primo gennaio 2017, ma è saltata per una serie di ragioni. Rimane però la volontà di dare vita all’ACI. Abbiamo quasi finito la messa a punto della programmazione; per ogni settore abbiamo già costituito le diverse associazioni. Noi, come LegaCoop, siamo pronti per compiere questo grande passo. Anche a partire dalla fine di quest’anno, potremmo togliere i tre marchi ed utilizzarne solo uno. Ormai siamo di fatto una sola organizzazione. Siamo solo in un momento critico, quello del passaggio: ognuno è legato ai propri valori, alla propria storia, al proprio modo di lavorare; in alcune situazioni ci guardiamo ancora in cagnesco, però il processo sta andando avanti. Quindi l’Alleanza si farà, ma come tutti i grandi progetti occorre avere pazienza. I primi saranno sicuramente degli anni difficili, in salita, dovremo mettere insieme valori differenti.

Non rischia di diventare per questo l’ennesimo carrozzone?

Tutti ci dicono che faremo la fine del Partito Democratico, ma secondo me non ha fatto una brutta fine.

Beh, punti di vista…

Se dopo dieci anni, il Pd continua a prendere il 40%, vuol dire che non ha fatto una brutta fine. Però c’è una grande differenza tra un partito ed una grande cooperativa. Nel partito ci sono ideologie, nella cooperativa ci sono imprese fatte da persone, quindi ci sono interessi e valori. Le organizzazioni stanno tentando di mantenere e salvaguardare questi valori e, in un Paese come il nostro dove i valori si sono completamente persi, è un compito difficile, ma apprezzabile. Stiamo mettendo insieme tre mondi diversi con 130 anni di storia alle spalle. Ci stiamo mettendo tutto l’impegno possibile.

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