Il carciofo bianco di Fasano
Dino Cassone | 11 September 2016

C’è quello “di Monopoli”, quello “di Putignano” e quello “di Carovigno” , il “Molese tardivo”, il “Precoce di Mola” e il “Violetto precocissimo di Foggia”; ma anche quello “Verde di Putignano”, “Violetto di S.Ferdinando” e “Violetto del Salento”. Inoltre quello “Nostrano di Brindisi” e quello “Nostrano di Ortanova”, “Il Centofoglie di Rutigliano”, il “Baresano” e il “Brindisino”. E badate bene, ce ne siamo scordati sicuramente molti altri. Non stiamo parlando di uomini ma del carciofo pugliese la cui pratica di coltivazione sin dalla notte dei tempi, ha fatto in modo di avere ambienti diversi per coltivazioni differenti, quindi di specie. Elemento distintivo di classificazione può essere il periodo di raccolta (autunno o primavera), la forma, le dimensioni e le così dette spinescenze. Parliamo sempre di carciofi e non di uomini.

Concentriamo la nostra attenzione su una varietà molto antica, anzi gli esperti dicono che sia una delle varietà più primitive e senz’altro una delle più caratteristiche: il “Carciofo bianco di Fasano”. Qui, in una azienda agricola biologica, di proprietà di Pasquale Grassi, in località Conca D’Oro, che si estende in direzione delle colline di Laureto, una delle frazioni del vasto territorio fasanese, il bel carciofo viene coltivato secondo tradizione: in linee ordinate come un disciplinato plotone di soldatini. Così come aveva fatto decine e decine di anni prima il papà e prima ancora il nonno. Prima che in Puglia, nell’immediato Dopoguerra, sbarcassero i cugini dalla Sicilia o addirittura dalla lontana Provenza, in Francia.

Un forte legame affettivo che ha fatto sì che si possa ancora gustare questa prelibatezza tutta fasanese, dal sapore e dalla tenerezza inconfondibili. Imbattibili messi sott’olio. Rigorosamente extravergine, manco a dirlo. Il “bianco di Fasano” oltre ad essere particolarmente prelibato ha anche una forma originale che lo contraddistingue: allungato, quasi a formare un triangolo perfetto che culmina con un apice spinoso di colore rossastro, con le brattee di un verde pallidissimo, quasi bianco appunto, tranne che nella parte inferiore, dove ritorna prepotentemente rosso violaceo. Anche le sue foglie, di un verde chiarissimo, sono strette e allungate. Un ortaggio molto resistente che potremmo definire quasi ecosostenibile, in quanto non comporta cure particolari, ma che cede la sua “morte per eccellenza” nel tipico piatto “Bucatini e carciofi alla fasanese”.       

Basta pulire i carciofi, tagliarli a fette molto sottili e aggiungerli in una pirofila dove, in precedenza, si è messo a rosolare con un filo d’olio una bella cipolla sminuzzata e della pancetta. Dopo aver fatto cuocere il tutto per un po’. Aggiungere del vino bianco fino a sua evaporazione, quindi coprire i carciofi con acqua calda, non prima di aver messo sale, pepe e peperoncino. Lasciare sul fuoco per un’altra mezz’ora. Intanto in un’altra pentola vanno cotti i bucatini; a metà cottura nel tegame dei carciofi vanno aggiunte le due uova sbattute. A cottura ultimata dei bucatini, mescolare il tutto e condire con pecorino. Buon appetito.

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