Paolo Ciocia è avvocato e docente a c. nell'Università di Milano
I politici che giocano con le regole dell’ordinamento giuridico possono creare danni irreparabili
Paolo Ciocia | 22 May 2019

Da sempre la politica è luogo privilegiato di sperimentazione linguistica: le parole sono lo strumento della retorica e dell’arte di persuasione e la comunicazione politica è anche affabulazione. E’ dunque giusto, riconoscere alla politica uno spazio di inventiva, di approssimazione, di eccesso linguistico, di “vaghezza artistica”; tutti sanno che al mercato lìcet mercatòribus sese ìnvicem circumvenìre: ai mercanti è consentito ingannarsi reciprocamente  ed esaltare la propria mercanzia con frasi ad effetto ed annunci clamorosi.

Proprio con la medesima consapevole improntitudine degli antichi mercanti romani, i nostri rappresentanti dei partiti di governo esaltano alternativamente, ogni giorno ed oltre ogni misura, la qualità della propria merce; poco importa se anche i clienti (elettori) siano egualmente consapevoli che la qualità dei prodotti è molto inferiore, se non diversa, da quella decantata dai venditori, pur se ogni buona massaia al mercato dovrebbe saper fare la giusta tara sui palesi eccessi. Si tratta del cosiddetto “dolo buono”, come dicevano i romani; entrambe le parti al Governo, sanno bene che si sta esaltando fuori misura la qualità della merce, ma questo non è un illecito perché fa parte del gioco e tutti dovrebbero saperlo.

Però a tutto c’è un limite. Quando dagli strilli di mercato, nelle piazze e sui social media, si passa alla dimensione normativa, all’approvazione delle leggi e dei decreti, quella genericità, approssimazione e suggestiva esagerazione dovrebbero lasciare il posto al rigore, alla puntualità ed alla certezza della norma. Perché la norma è il comando dell’Autorità che regola i rapporti sociali ed economici, in campo civile, penale o amministrativo. La norma dovrebbe servire a risolvere i conflitti, dare giustizia, condurre ad applicazione sicura delle sanzioni.

E’ vero che l’ambiguità è caratteristica propria della norma giuridica, ma una cosa è la naturale polisemia dell’espressione linguistica che si traduce nell’astratta riferibilità a diverse fattispecie, altra cosa è la genericità e la sciatteria del linguaggio pseudo normativo che contiene confusi riferimenti a situazioni tutte da individuare, vedi il “salvo intese”. Questo non ha nulla a che fare con la norma giuridica. L’invenzione dei decreti “salvo intese” è l’esempio più alto di una approssimazione che tradotta sul piano normativo non ha altro senso se non quello di evidenziare che tra le forze politiche non si è trovato un accordo sulla regolamentazione del problema; come, avvenuto, da ultimo per il cd Decreto Crescita “salvo intese”, utile per un annuncio politico, ma non per “disporre” come una norma giuridica dovrebbe.

E che dire della legittima difesa, fondata oggi allo “stato di grave turbamento” ? Insomma, se si può giocare con le parole dal palco di un comizio, non si può giocare con le regole dell’ordinamento giuridico. I danni rischiano di diventare irreparabili. Osserva il prof. Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale dell’Università di Milano, a proposito della nuova disciplina della legittima difesa: “…il fuoco dell’attenzione si sposta ora dall’agone politico – e dal circuito social-mediatico – alla dimensione tecnico-giuridica delle aule di giustizia, nelle quali la nuova legge è fisiologicamente destinata ad essere applicata e a produrre i propri effetti. La valutazione politica cede insomma il passo a quella tecnica, ora che la nuova disciplina è prevista da una legge dello Stato, che deve fare i conti con il sistema nel quale si inserisce e, in primis, con i principi costituzionali.

Le osservazioni riportate possono estendersi a molti altri campi, civile, amministrativo, fiscale, oggi disseminati di espressioni vaghe e da rimandi a successive norme non meglio precisate, con effetti devastanti per future applicazioni di regole fumose ed improvvisate. Non è questione da sottovalutare sotto il profilo istituzionale, il fatto che il legislatore non dismetta i panni del politico: è proprio normale che il Governo "approvi" provvedimenti in testi vaghi e del tutto approssimativi, in attesa di redazione e sottoscrizione definitiva? Anche in spregio all’altissimo mandato costituzionale ad esso riservato, approvi testi vuoti con titoli suggestivi, bozze e slides per le conferenze stampa, ma con la formula "salvo intese", ossia “salvo ripensarci”, ossia “salvo abbiamo scherzato”. Ossia: “ Ma davvero ci avevate creduto” ?

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