Paolo Ciocia è avvocato e docente a c. nell'Università di Milano
L'altissimo messaggio della lettera scritta a mano dal generale Nistri alla famiglia Cucchi
Paolo Ciocia | 17 April 2019

Caro amico ti scrivo... Lucio Dalla si rivolgeva a un amico lontano e, per fargli sentire la sua voce, avvertiva la necessità di scrivere più forte, calcare il segno quasi che la forza dello scritto potesse superare la lontananza fisica. Nell'era dei tweet, degli sms e delle emoticon quasi certamente quel capolavoro non avrebbe visto la luce.

Non scriviamo più e soprattutto non scrivono a mano più i nostri ragazzi, disperdendo un patrimonio di sensibilità ed emozioni che la tastiera di un tablet non può filtrare. Perché la scrittura a mano non è solo il frutto letterario di chi scrive, è la persona stessa con la sua identità unica e irripetibile, con tutta la vita che scorre attraverso le sue dita; e comunica sempre e indipendentemente, anche oltre ciò che scrive.

Con computer e smartphone oggi scriviamo molto più di 20 o 30 anni fa, ma certo comunichiamo molto di meno. È il paradosso della nostra pseudo-civiltà della comunicazione e della interconnessione che ci consente di inviare segni, velocizzare i contatti, senza parole.

Scrivere a mano è importante, educativo, creativo. Le ricerche condotte da un maestro come il prof. Vertecchi hanno dimostrato che scrivere a mano aumenta enormemente la capacità di usare il linguaggio; non è solo questione di tracciare segni - osservava - ma del pensiero che corrisponde al segno che si traccia. Scrivere a mano fa bene. Aiuta a pensare ed esprimersi meglio. Come avere il cervello tra le dita.

Una generazione che rischia di perdere questa attitudine naturale e questo esercizio mentale oltre che fisico rischia di depotenziare le proprie facoltà in modo irrimediabile. I maggiori pedagogisti e neuroscienziati hanno insegnato che la scrittura a mano, a differenza della scrittura su tastiera, coinvolge più parti del cervello, stimola la memoria, aiuta a sviluppare le capacità percettive e di organizzazione del pensiero. Sarà questa la ragione per la quale molti docenti di Harvard impongono agli studenti di prendere appunti manuali invece che su computer e tablet.

Bene ha fatto l'Accademia della Crusca e per tutti il professor Sabatini a ritornare incessantemente su questo tema così delicato affinché i nostri ragazzi non perdano questa la sana abitudine di scrivere con carta e penna.

Scrivere a mano è anche segno di attenzione particolare per il nostro interlocutore.

La lettera di scuse di questi giorni del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri alla famiglia Cucchi è su carta intestata, ma vergata interamente a mano per quattro pagine; il gesto ha comunicato ben oltre l’altissimo senso morale del suo contenuto. Anche il Papa Paolo VI volle rivolgersi agli “uomini delle Brigate Rosse” scrivendo a mano per la liberazione di Aldo Moro. Erano altri tempi, è vero, ma quello scritto comunicava il segno della sofferenza e della umana implorazione.

Nel freddo mondo del diritto, un residuo di umanità lo si ritrova forse solo in un testamento olografo, ossia scritto interamente a mano, magari con il tratto mal fermo di una persona che sa che ciò che scrive avrà valore ed effetto solo quando non ci sarà più. La scrittura è sempre emozione e creazione.

Disperderla significa smarrire anche un po’ della nostra umanità. D’altro canto se il Padreterno ha disposto che il nostro cervello desse ordini al movimento armonioso della mano, ci sarà pure una ragione; e sinceramente, lascerei questa ragione a chi di Creazione se ne intende.

 

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