Questa non è l’America
Gianni Svaldi | 21 February 2017

Il dramma degli universitari costretti ad emigrare.  E’ vero, negli Usa c’è Trump, un bizzarro populista, con tanti seguaci in tutta Europa, “carente in comunicazione”, ma a casa c’è l’umiliazione “di dover chiedere a mamma i soldi per poter cambiare le gomme della macchina” perché “con 1000 euro al mese e 600 euro di affitto da pagare, non ce la fai”

Per i ragazzi italiani che hanno lasciato il Bel paese in cerca di un lavoro appagante, affrontare Trump è meno spaventoso del rischio di tornare a casa in Italia. La considerazione la facciamo dopo aver parlato con alcuni laureati emigrati negli Usa (leggi anche Laureati, disagiati, messi in fila per essere schedati). Le due storie che state per leggere arrivano dalla Pennsylvania. Tra le righe, la paura che il volubile presidente americano possa mettere un giorno anche l’Italia tra i paesi sgraditi. E la paura mette ansia, fretta di divenire presto cittadini Americani e tagliare così anche l’ultimo cordone ombelicale col Bel Paese. E’ vero, negli Usa c’è Trump, un bizzarro populista, con tanti seguaci in tutta Europa, “carente in comunicazione”, ma a casa c’è l’umiliazione “di dover chiedere a mamma i soldi per poter cambiare le gomme della macchina” perché “con 1000 euro al mese e 600 euro di affitto da pagare, non ce la fai”.

Insomma, tornare indietro spaventa più di Trump. “Gli statunitensi ammirano il condottiero che nel loro immaginario riaprirà le miniere di carbone del centro America”, ci spiegano durante la chat. E questo apre un altro interrogativo che esula dalle bizzarrie del presidente Usa. Perché il mondo sta scegliendo uomini come lui al potere? Probabilmente una delle risposte sta in una ricerca internazionale citata dal giornalista del Guardian Jonathan Freedland: solo per il 25% della generazione millennials o Echo Boomers (coloro che sono nati tra i primi anni ’80 e i primi anni 2000 nel mondo occidentale) è importante vivere in un regime democratico. Mentre la percentuale sale al 75% per chi è nato nella prima metà dello scorso secolo.

In Italia è quasi mezzanotte, in Pennsylvania sono le 18 quando Eleonora, nata in Puglia, nel Tarantino, sulla chat di Facebook ci racconta la sua vita: “La mia storia è come quella di tanti italiani. Una laurea in ingegneria, un dottorato di ricerca, quasi 6 anni di lavoro in Italia per la stessa azienda con varie tipologie di contratto (per 3 mesi, 6 mesi, un anno) e poi finalmente arriva quello a tempo indeterminato. Ma l’azienda, visto che le tasse per un indeterminato sono più alte, mi offre 1000 euro al mese, prendere o lasciare. Ovviamente “prendi” perché non puoi permetterti di avere “un buco” nel tuo curriculum.

Vai avanti senza dignità, a 35 anni è umiliante dovere chiedere a mamma i soldi per potere cambiare le gomme della macchina e con 1000 euro al mese, 600 euro di affitto da pagare, bollette e benzina… non ti rimane molto a fine mese (e non includo la spesa perché quella la facevo con i buoni pasto, comprando solo ciò che era in offerta). Mandavo CV a tonnellate sperando che qualcuno mi chiamasse. Ma la risposta, se mi rispondevano, era sempre la stessa: sei troppo qualificata… ma la realtà la conoscevo bene: nessuna azienda italiana vuole assumere una donna più che trentenne per paura che poi sforni un figlio. E questo succedeva nella civilissima Bologna. Poi un’azienda del Sud mi chiamò. Lo stipendio era un poco più alto e il costo della vita un poco più basso. E così chiusi tutta la mia vita in un furgone e partii. Ma anche lì riuscire a mettere da parte qualcosa era dura, la qualità della vita – tra Napoli e Caserta ndr – non è il massimo (non per niente la chiamano la terra dei fuochi) e ti chiedi se un paio di centinaia di euro in più al mese siano sufficienti a giustificare i fumi tossici che respiri ogni giorno. Dopo due anni, l’incredibile succede: ho la possibilità di trasferirmi negli Stati Uniti e questa volta chiudo la mia vita in due valigie e parto.

Arrivo a Pittsburgh, in Pennsylvania. Una città incredibile, un gioiello, e le persone… mi hanno accolto come se avessi sempre vissuto qui, con un calore che è difficile da descrivere. Così finalmente posso cominciare a vivere: e mi accorgo che fino ad allora avevo solo sopravvissuto. Posso fare progetti per il futuro: comprare casa, magari avere un figlio. Al lavoro mi stimano e mi apprezzano: il mio percorso di studi, il dottorato la mia formazione lavorativa è un plus non qualcosa che devo nascondere perché altrimenti le aziende non ti assumono. E così comincio questa avventura. La mia famiglia e i miei amici mi chiedono come sto, come mi trovo in questa città sconosciuta ma appena sentono la mia gioia e la mia soddisfazione non riescono a trattenersi e mi dicono: “Tu hai proprio trovato l’America”.

Quasi 3 anni sono passati da allora e non c’è stato un solo giorno in cui mi sia pentita della decisione presa. Anzi il mio amore per questo paese eccezionale cresce sempre di più. Poi arrivano le elezioni del nuovo presidente: Trump ha vinto… e comincio a pensare. Cosa succederà ora? Arriva il blocco dei 7 paesi e ancora mi ritrovo a chiedermi “e se poi passa anche ad altri? Cosa succederà se anche noi italiani diventiamo ospiti non-graditi? Dovrò tornare in Italia?”. Il panico mi assale. Il solo pensiero di tornare a vivere come prima mi toglie il respiro. Ma la realtà è anche un’altra. Questo paese ha una delle più belle costituzioni del mondo. Vi sono degli step da percorrere per “bannare” gli stranieri (italiani inclusi) e con un poco di buon senso ti rendi conto che lo scopo di Trump non è quello di chiudere le frontiere ma cercare di combattere l’immigrazione illegale (scopo per altro anche del suo predecessore).

In realtà il solo grosso difetto di Trump è che è veramente carente nella comunicazione: il suo staff per le pubbliche relazioni andrebbe seriamente rivisto. Ciò non toglie che l’applicazione del ban ha fatto discutere, e anche io mi sono indignata. Perché il blocco è stato applicato incondizionatamente, senza fare distinzione tra immigrati legali e illegali, tra chi aveva già passato tutte le fasi di controllo per avere una VISA o la greencard e chi invece non era in regola con i documenti. E il popolo americano ha fatto sentire il suo disappunto per questo! Mi è stato chiesto se sono arrabbiata con gli Stati Uniti. E la risposta è no, sono solo preoccupata (qui si direbbe I’m concerned) perché questa situazione potrebbe rallentare le mie pratiche per la greencard. E io la aspetto con ansia perché ho già deciso che una volta avuta la greencard, dopo 5 anni farò l’esame per prendere la cittadinanza Americana, la patria non è quella in cui nasci ma quella che ti permette di vivere creando un futuro migliore e questo per me l’Italia non è stata e non è tuttora capace di farlo”.

Anche Carlo vive in Pennsylvania, ci dice che il populismo sta vincendo perché la classe politica che ci ha guidati sino ad oggi “non ha mantenuto le promesse”.

“Da immigrato, è difficile poter apprezzare un uomo come Trump, che senza batter ciglio ha firmato un ordine esecutivo per mettere al bando immigrati provenienti da diversi paesi considerati a rischio, indipendentemente dal loro status di rifugiati, con visto di lavoro, green card ecc. Difficile poter considerare Trump una persona con un profilo “presidenziale”: la più alta carica dello stato che tweetta senza freno ogni volta qualcuno di importante, penso a Maryl Streep, la pensa diversamente da lui.

Però, piaccia o no, una buona fetta di americani la pensa come lui, quindi il problema non è Trump, è un popolo, o per lo meno una parte di esso, che ammira il condottiero che nel loro immaginario riaprirà le miniere di carbone del centro America, porterà lavoro la dove non ce n’era più traccia da anni, in poche parole farà tornare l’America grande come una volta. Quello a cui stiamo assistendo qui in America, ma anche in Europa con i vari populismi che stanno crescendo, è il sostanziale fallimento della classe politica che ci ha accompagnato fino ad esso, con le sue promesse di miglioramento mai mantenute”.

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