La grande festa del G7 in Italia tra 4,6 mln di poveri. L’ex ministro Giovannini: il Paese non è sulla strada giusta
Silvano Trevisani | 9 May 2017

Coinvolte 12 città italiane. A Bari summit su Crescita, occupazione e diseguaglianza. Abbiamo rivolto alcune domande a Enrico Giovannini, già ministro del Lavoro e presidente dell’Inps, portavoce dell’Asvis e autorevole iniziatore della misura Bes (Bene equo sostenibile) che affiancherà il Pil per valutare l’andamento dell’economia

Crescita, occupazione e diseguaglianza sono i temi al centro del vertice dei ministri finanziari del G7 (il sito ufficiale) in programma a Bari dall’11 al 13 maggio. Tra il 30 marzo e il 6 novembre l’agenda prevede 11 summit, tra i quali quello nel capoluogo pugliese. Temi delicati che si concentrano sull’innovazione in una prospettiva di inclusività e sostenibilità, e sui quali l’Italia parte da una situazione di evidente arretramento, anche se l’annuncio di qualche settimana fa circa l’inserimento, per la prima volta, nel Def degli indicatori benessere sociale, sembra voler dare un segnale di chiarezza. Che a qualcuno è apparso persino velleitario. Ma quello dei G7 è tutt’altro che un confronto “ideologico” o tanto meno filosofico. Si discuterà, infatti, di questioni molto pratiche, come la web tax, da tanti invocata e sulla quale il nostro Paese sembra battere i pugni, ma per il quale non è ancora riuscito ad avanzare una proposta chiara e condivisa. Sono in discussione questioni di interesse enormi, nei quali purtroppo l’Italia parte da una posizione di grande debolezza: la crescita, ventilata dagli istituti governativi, non è affatto partita, l’innovazione è al palo così come la sostenibilità che dovrebbe accompagnarla, la lotta alla povertà muove piccolissimi passi, mentre a crescere è solo la disoccupazione, sopratutto giovanile. La preminenza della finanza su tutti i processi politici, inoltre, ci rende più deboli e, nell’ambito dei G7, ci fa assomigliare sempre più all’ultima ruota del carro. Quella che, magari… cigola.

Ci chiediamo, allora, ma il nostro Paese è ancora in grado di dire una parola chiara sui temi in discussione. Ma poiché domande così impegnative richiedono un interlocutore particolarmente autorevole, le abbiamo girate all’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, ordinario di statistica economica all’Università Tor Vergata di Roma, già presidente dell’Istat. Giovannini è soprattutto il più autorevole iniziatore della misura Bes (Bene equo sostenibile) recentemente adottata per legge dal Parlamento italiano a integrazione del Pil (Prodotto interno lordo), quale valutatore economico sociale. Oggi è il portavoce di Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), e in tale veste è stato invitato a presentare, nella sua vision e nei suoi obbiettivi, l’Agenda 2030 così come adottata dall’assemblea generale dell’Onu il 25 settembre 2015.

Lei sostiene l’urgenza di intraprendere un nuovo modello di sviluppo sostenibile, in grado di tenere insieme, in modo virtuoso, crescita economica, diritti sociali e tutela dell’ambiente. Un obiettivo realizzabile?
“Direi inevitabile. Sono state le Nazioni Unite, il 25 settembre del 2015, a riconoscere l’assoluta insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e a promulgare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che pone una scadenza precisa e imprescindibile”.
Al 2030 mancano poco più di 10 anni. Cosa si può fare in un tempo così limitato?
“Si possono eliminare la povertà e le disuguaglianze, comprese quelle di genere, si può incrementare la crescita economica, assicurare la salute e un lavoro dignitoso per tutti, tutelare l’ambiente, garantire educazione e innovazione per lo sviluppo”.
Ma l’Agenda 2030 come può trovare realizzabilità in Italia?
“Ora come ora il nostro Paese non è sulla strada giusta, non ha ancora imboccato quella della sostenibilità. Solamente a gennaio il ministero dell’Ambiente ha fatto un’analisi di tutti i 169 target dalla povertà all’ambiente, dall’istruzione al lavoro e ha concluso che l’Italia è fuori strada. Ma si può riuscire insistendo sul ruolo dell’educazione, della ricerca e dell’innovazione”.
Il problema ora è: cosa fare?
“Il governo ha atteso un anno per lo sviluppo di questa agenzia. Noi abbiamo indicato sette piste di riflessione con proposte molto concrete, partendo da energia e cambiamento climatico, questioni che investono già il Paese. Abbiamo bisogno di un modello di energia rinnovabile, eravamo avanti ma ci siamo fermati e non abbiamo strategie. Poi tocca a: povertà e diseguaglianze. È inaccettabile che abbiamo 4,6 milioni di poveri assoluti di cui 1,1 bambini. Da ministro avevo varato il progetto per l’inclusione attiva, sui cui siamo indietro. E poi parliamo di città infrastrutturate, di economia circolare, innovazione, lavoro, perché senza lavoro non c’è sviluppo… Infine: capitale naturale, capitale sociale, cooperazione internazionale”.
Si può pensare a uno sviluppo senza industria?
“No. Non possiamo pensare alla decrescita felice di cui i francesi già si pentendo, non possiamo ragionare in termini di deindustrializzazione finché non sia realizzata la sostenibilità. Noi dobbiamo puntare a trasformare le nostre industrie perché diventino ecosostenibili per non riscontrare più situazioni come quella riscontrate nel passato”.

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