Storia di Edo, bimbo con una malattia unica al mondo, e della mamma che lo vuole salvare
Chiara Curci | 31 August 2017

Il piccolo potrebbe essere l’unico ad avere la patologia che lo ha colpito. Il grido di rabbia della mamma: “La Sanità italiana non può sostenerci perché, a detta di medici primari, è l’unico caso e lo Stato non può impiegare del denaro per poterlo aiutare chirurgicamente”

Avremmo voluto raccontare questa storia attraverso le parole di Edo, un bambino di 9 anni a cui la vita ha riservato uno strano destino, ma questo non è possibile. La sua voce sarà quella di Francesca, la sua mamma, una donna di 37 anni, laureata in lingue, che  improvvisamente ha conosciuto la parola autismo e ha iniziato un percorso, un lungo cammino verso la verità, in un mondo ancora adesso per molti lati sconosciuto. I protagonisti di questa storia hanno nomi di fantasia, ma quello che raccontano è suffragato da documenti scientifici che evidenziano l’unicità di questo bambino. Edo nasce il 24 marzo 2009, unigenito di mamma Francesca e papà Mario, con parto naturale. Tutto fila liscio, una vita familiare fatta di impegno e di gioia infinita. Il bambino è un piccolo batuffolo dagli occhi grandi e azzurri che cresce bene e in salute fino a 13 mesi quando incomincia a manifestare episodi di regressione. «Edo non camminava e non aveva una postura corretta, – racconta la mamma –  non imitava i gesti e non si girava al suo nome, era come assente. Immediatamente io e mio marito abbiamo iniziato a indagare e abbiamo chiesto informazioni mediche a neuropsichiatri. Ci siamo mossi subito perché speravamo in una risposta immediata».

La ricerca

Il problema di Edo risulta subito particolare, unico nel suo genere. Il bambino continua a crescere fisicamente sano, ma sempre meno a livello psichico non manifestando nessun interesse per ciò che lo circonda. A 17 mesi il piccolo incomincia la riabilitazione e a 20 mesi avviene il primo ricovero urgente nel centro di eccellenza di neuropsichiatria “IRCCS Fondazione Stella Maris” di Pisa dove gli viene diagnosticato un ritardo psicomotorio con disturbo della relazione e della comunicazione e ritardo intellettuale totale. Incomincia un viaggio fatto di medici, visite, indagini genetiche e soprattutto di speranza e dolore. «In una settimana abbiamo effettuato tutti i controlli, – spiega la mamma – risonanze magnetiche e altro che hanno portato a un quadro clinico incompleto.  A Edo è stato diagnosticato l’autismo, ma ad oggi non si ha una diagnosi completa del problema di mio figlio». Nel corso degli anni il piccolo, infatti, incomincia a manifestare con le prime febbri e infezioni dei malori insoliti e a soli 2 anni e mezzo viene ricoverato d’urgenza e ossigenato a causa di crisi respiratorie. Episodi che non avvengono in maniera continua, ma che nel corso del tempo incominciano ad apparire anche senza infezioni in corso. Edo diventa un caso di studio, seguito da numerosi medici, la dott.ssa La Selva, neurologa epilettologa dell’ospedale “Fallacara” di Triggiano, sede Asl territoriale, la dott.ssa neuropsichiatra infantile Cramarossa dell’istituto “Sant’Agostino” che segue ormai Edo da 6 anni per la riabilitazione, l’equipe della “Casa sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo e il neurologo professor Guerrini dell’ospedale pediatrico “Meyer” di Firenze. La diagnosi di Edo, ancora adesso non completa, potrebbe aiutare altri bambini, e in particolare potrebbe far emergere un livello più grave di autismo. «I medici non riescono a darci delle risposte. – continua a raccontarci la mamma – Edo ha un livello di relazione limitato, non comunica i sintomi di un malore essendo un bambino non verbale, ha costantemente bisogno di figure professionali che riescano a capire immediatamente se sta per sentirsi male. Mio figlio ha avuto nove crisi in otto anni, con cinque stati di coma causati dal fatto che ancora adesso all’ospedale pediatrico di Bari non si ha un protocollo mirato sulla sua problematica e quindi non si sa bene come agire. Una volta è finito in coma per un notevole ritardo dei soccorsi. Abbiamo aspettato un’ambulanza con la presenza di un medico in una stazione di servizio carburante mentre mio figlio desaturava e io non potevo dire altro. Eravamo distanti dall’ospedale pediatrico di Bari dove ci sono medici che conoscono la storia di Edo». Il malore non ancora diagnosticato consiste in crisi di desaturazione:  il bambino diventa pallido con conati di vomito, se non ha nulla nello stomaco la terapia per salvarlo è molto semplice, ossigeno e una fiala di adrenalina, se invece ha mangiato poche ore prima è soggetto ad ab ingestis, e cioè l’inalazione involontaria di materiale alimentare solido o liquido proveniente dall’apparato digerente e quindi il soffocamento. Sono due i medici che attualmente hanno cercato di interpretare queste crisi, il pneumologo Schiavone dell’ospedale pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari e il professor Guerrini, del “Meyer” di Firenze. Entrambi i professori affermano che si tratta di sospette sincopi vaso-vagali, patologia diagnosticabile solo attraverso un Tilt test, test di stimolazione ortostatica passiva, durante il quale viene provocata una crisi nel paziente che deve rispondere ai comandi dei rianimatori e medici che prontamente devono intervenire. «Non è possibile effettuare questo test su Edo, – afferma la donna – prima di tutto perché non ha ancora l’età giusta per farlo, e cioè 12 anni, e soprattutto perché nessuno si assume la responsabilità di farlo con un bambino come lui. Questo genere di esame potrebbe però darci delle risposte concrete. Se non ha il giusto soccorso mio figlio rischia la vita; nell’ultimo stato di coma Edo è arrivato addirittura alla morte cellulare, quando bastava semplicemente intervenire con l’ossigeno liberando i polmoni. Abbiamo affrontato situazioni di poca umanità. Bisogna essere fortunati e sperare di trovare ottimi dottori in situazioni di emergenza». Il ritardo psicomotorio di Edo viene spesso associato a possibili crisi epilettiche, cosa che però non può essere vera in quanto il bambino non presenta convulsioni. Edo ha un problema di desaturazione di ossigeno che è diverso dall’epilessia, dato confermato dal professor Guerrini che ha effettuato 50 indagini genetiche sul bambino riguardo l’epilessia e le malformazioni corticali.

Il caso

Ad oggi Edo risulterebbe (al netto di altri casi che vi potrebbero essere al mondo non conosciuti) l’unico bambino nel mondo ad avere questa patologia non ancora diagnosticata. Il viaggio dei genitori alla ricerca della verità continua fino al 2014, quando la storia di Edo viene a conoscenza di un noto neurochirurgo italiano trapiantato in America, che dopo aver letto le carte e la documentazione  propone un intervento rischioso, ma probabilmente risolutivo. Dai sintomi evidenziati durante le crisi del paziente il medico propone di impiantare un pacemaker vagale per le sospette sincopi vaso-vagali, tra la carotide e la giugulare. «Questo genere di intervento – spiega Francesca – è stato fatto 150 volte negli Stati Uniti su soggetti affetti da depressione ed epilessia apportando loro una vita migliore e riducendo le crisi. In Italia non c’è possibilità di farlo. Io e mio marito dovremmo prenderci la responsabilità di farlo privatamente, senza una certificazione medica e senza il Tilt test. Dovremmo pagare solo il macchinario, 35 mila euro, più 20 mila per l’equipe medica. La sanità italiana non può sostenerci perché, a detta di medici primari, Edo è l’unico caso nel nostro paese ad avere questa patologia non ancora diagnosticata e la sanità italiana non può impiegare del denaro per poterlo aiutare chirurgicamente». Ma la famiglia di Edo va avanti per la sua strada, seguendo anche le indicazioni dell’ospedale di Ginevra che sempre nel 2014 consiglia di effettuare delle indagini sul sequenziamento dell’esoma e sul ritardo dello sviluppo mentale, esami mai proposti in Italia, ma che in Svizzera hanno il costo di 40 mila euro. Questi esami potrebbero permettere di inviare il sangue di Edo a tutti i laboratori genetici esistenti al mondo. «Io e mio marito – racconta la mamma – siamo andati immediatamente all’ospedale “Bambino Gesù” di Roma affermando che mio figlio ha il diritto di essere curato essendo un paziente italiano, ma ci hanno detto che queste indagini hanno un costo troppo elevato e l’Italia non può affrontare un solo caso. Un’altra porta in faccia dalla sanità italiana». Ma non è una risposta negativa a fermarli: con una telefonata all’ospedale di genetica di San Giovanni Rotondo Francesca e suo marito riescono ad effettuare questo esame a luglio 2016. Ancora adesso sono in attesa di una risposta dalla ricerca.

Edo attualmente è regolarmente iscritto a scuola, dopo aver vissuto uno spiacevole episodio in un altro istituto. «La serenità di Edo – conclude Francesca – è dovuta alla struttura che frequenta adesso che offre assistenza e soprattutto un personale qualificato. Cosa che non esiste nella scuola pubblica che mio figlio ha frequentato per due anni. Non ha mai avuto il giusto supporto e la corretta assistenza. Edo si è sentito male, stava seduto accanto alla maestra di sostegno che non ha capito cosa stesse succedendo. I soccorsi sono stati chiamati con ritardo e mio figlio è entrato in coma. Quando ho chiesto spiegazioni in provveditorato mi hanno solo detto che ci sono delle graduatorie e che gli insegnanti sono presi da lì. A noi interessa solo la salute del nostro piccolo. Vogliamo solo sapere cosa ha, consapevoli che non ci sono cure. L’autismo è un mondo da scoprire con il bimbo, speriamo sempre che possa migliorare per raggiungere almeno un livello di autonomia che possa servirgli anche oltre la nostra vita».

 

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