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Uno dei tanti cristiani che viveva nella città di Aleppo
La tragedia nella tragedia
"In Siria pulizia religiosa per annientare la presenza cristiana"
Gli errori italiani sulla Siria, il Papa e la strage continua dei cristiani. Intervista con l’inviato di guerra Gian Micalessin. Il fortissimo sospetto: dietro la Primavera araba l’imposizione della Sharia e non della democrazia
Silvano Trevisani | 10 April 2018

La guerra in Siria è stata e continua a essere una seria minaccia per la pace in tutto il pianeta,  ma purtroppo finora non ci è stata raccontata la verità e abbiamo accettato quello che ci veniva detto, soprattutto dalle fonti ufficiali, come se fosse la verità. Accostandoci pericolosamente al baratro. Sul quale però restiamo in bilico.
Così a molti è sfuggito come sia stato soprattutto l’intervento di Papa Francesco a evitare che si scendesse in guerra anche in Siria, ancora una volta dalla parte sbagliata, com’era successo già in Iraq e in Libia. E forse molti non hanno colto il gesto di Papa Francesco che ha voluto accanto a sé una famiglia siriana cristiana nella celebrazione della Via Crucis di Venerdì Santo. Eppure è stato un gesto di estrema importanza che ha dimostrato, alla Chiesa per prima, poi all’Occidente, che laggiù, in Siria, sta succedendo qualcosa di tragico: una pulizia religiosa che vuole annientare la presenza cristiana che è la più antica del paese, per il fatto che tale presenza, che è stata da sempre elemento di civiltà, di convivenza, di tolleranza, è garanzia di convivenza. Eliminati i cristiani, i jiahisti hanno carta bianca per imporre la Sharia.

Ne esce uno scenario inquietante. Che l’imposizione della Sharia e non della democrazia era dietro la cosiddetta “Primavera araba”, e che al Sisi in Egitto (rieletto in maniera plebiscitaria) come Assad in Siria sono un argine non un nemico. Bashar al Assad che, aveva ragione Putin, era anche lui un argine contro l’Isis e l’islamizzazione, pur essendo, a differenza per premier egiziano, un dittatore. A confermarlo sono le voci dei cristiani, molto numerosi e molto perseguitati in Siria, appartenenti a varie confessioni, che non abbiamo mai voluto ascoltare. Voci unanimi nell’approvare Assad. E nel criticare Erdogan, nostro alleato, e il Qatar, sostenitori dei fondamentalisti.
Lo ha fatto, però, il giornalista, inviato di guerra Gian Micalessin, triestino, che scrive e lavora per numerosi giornali e televisioni, che la guerra di Siria la conosce benissimo, avendola vissuta fin dall’inizio ed essendo rientrato in Italia solo pochi giorni fa. Ha appena pubblicato il libro “Fratelli traditi, la tragedia dei cristiani in Siria” edito da Cairo. Noi lo abbiamo intervistato.
Perché titolo così determinato. Chi sono i fratelli traditi?
“Fratelli traditi è un libro sui cristiani di Siria, che noi troppo spesso abbiamo dimenticato nel raccontare la guerra di Siria. Li abbiamo dimenticati sicuramente all’inizio, quando parlavamo molto dei ribelli, consideravamo il regime di Bashar al Assad un regime da abbattere e i ribelli portatori di democrazia e di libertà. Palavamo di primavera araba invece era solo la riscossa degli integralisti. In tutto questo ci siamo dimenticati di sentire la popolazione cristiana, che rappresenta il dieci per cento dei siriani e che era presente lì molto prima dell’arrivo dei musulmani, almeno sei secoli prima. Ci siamo dimenticati che in Siria è nato il cristianesimo e ci siamo dimenticati che quel cristianesimo è stata la fonte della libertà e della democrazia anche per noi europei. 
Un errore rivelatosi fatale?
Già. È accaduto che, dimenticando le nostre radici, dimenticando i cristiani, abbiamo fatto anche le scelte sbagliate, scelte che ci hanno portato ad appoggiare i ribelli jiahidisti, a chiudere gli occhi sull’Isis che stava nascendo, a illuderci che quei ribelli potessero portare libertà e democrazia quando invece portavano morte e distruzione all’interno della Siria. Ci siamo illusi che quei massacri fossero attribuibili tutti a Bashar Assad e invece molti di quei massacri, come ho potuto constatare di persona e vengo qui a raccontare, erano opera dei ribelli. I cristiani ce lo dicevano, noi non li ascoltavamo e solo quando l’Isis ci ha colpito ci siamo resi conto di quanto avessimo sbagliato”.
Ma la lezione non ci è servita.
“Non ci è servita perché abbiamo continuato anche oggi a perseverare nello stesso errore e a non ascoltare i cristiani e a considerare il regime di Bashar al Assad un regime da abbattere”.
Dopo tanta morte e distruzione la situazione non è cambiata di molto.
“Non è cambiata perché siamo all’ottavo anno di guerra, si continua a combattere e l’opinione pubblica somministra ancora l’idea che il regime sia l’unico cattivo, l’unico responsabile. Continuiamo a parlare di ribelli moderati, come nel caso dell’offensiva di Goutha di cui tanto abbiamo sentito parlare in quelle ultime settimane, ci siamo dimenticati che in quella Goutha, che noi consideriamo la parte buona di quel conflitto, i principali gruppi sono quasi tutti jiahdisti, C’è Jaysh al Islam un gruppo che nel 2015 esibiva i prigionieri nelle gabbie come animali al trofeo. C’è Tahrir al Sham, la costola siriana di al Qaeda, c’è un altro gruppo che ha messo in rete un filmato con la decapitazione di un bambino di 15 anni, e da quel quartiere partono soprattutto le bombe che colpiscono i quartieri cristiani di Damasco, nella zona orientale della città, l’antica Bab Touma (San Tommaso). Sono morti più di 200 cristiani in questi due mesi e noi li abbiamo ancora una volta completamente ignorati”.
Il disinteresse dell’Occidente nei confronti della guerra siriana da cosa nasce, da un mancanza di interessi economici?
“Da un semplice obiettivo politico, che era quello fissato dall’amministrazione Obama: abbattere il regime di Bashar Assad, che era considerato un tassello di quell’asse sciita che dall’Iran arriva fino al confine di Israele, in modo da affievolire la sua influenza in Medioriente e garantire che l’Iran non diventasse grande potenza mediorientale. Quell’obiettivo è fallito, comunque la guerra continua e continua ancora peggio di prima”.
La situazione è grave. Anche le organizzazioni non governative hanno difficoltà.
“Beh le organizzazioni non governative hanno operato solamente da una parte, anche in questo caso: hanno operato dalla parte dei ribelli e hanno contribuito a fornirci una visione deformata di quella guerra. Forse bisogna fare una riflessione generale su quella guerra, Bisogna ripensare  una guerra per la quale si credeva, dall’inizio, che non servisse un negoziato ma soltanto un cambio di regime: errore che abbiamo già commesso con l’Iraq e con la Libia e che non hanno portato certamente benefici all’Occidente ma solamente la diffusione del caos”.
Come dovrebbe muoversi un negoziato? Che disegno dovrebbe perseguire?
“Un negoziato passa innanzi tutto da un elemento fondamentale che è l’eliminazione del clima di guerra fredda tra Russia e Stati Uniti che sembra invece essere alimentato. Vladimir Putin viene considerato un mostro, una specie di nemico dell’Occidente, però è l’unico che ha una visione politica. Non dimentichiamoci che la Russia è un nostro vicino, quindi riportare Putin nel negoziato, discutere con lui, potrebbe essere una via d’uscita anche dal conflitto siriano”.

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